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05 August 2025
Un milione di euro di multa da parte di Antitrust e un messaggio forte e chiaro: Shein, colosso cinese della fast fashion, è finita nel mirino delle autorità per pratiche scorrette, comunicazione ingannevole e promesse ambientali non verificate.
Negli ultimi anni, il marchio ha conquistato milioni di utenti in tutto il mondo con una strategia aggressiva basata su capi a bassissimo costo, aggiornamenti quotidiani del catalogo e campagne di marketing capaci di parlare soprattutto ai più giovani. Ma dietro l’apparente convenienza si nasconde un sistema insostenibile: per l’ambiente, per i lavoratori e per i consumatori stessi.
Shein tra greenwashing e pubblicità ingannevole
In Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) ha sanzionato Shein per green claim vaghi, omissivi o falsi diffusi sul sito shein.com italia e su canali informativi e promozionali collegati. Le sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale” contenevano affermazioni come “moda sostenibile” o “prodotto riciclabile”, senza che venissero forniti dettagli trasparenti sui benefici ambientali dei prodotti o sulla reale composizione dei materiali.
In particolare, l’Agcm ha rilevato che la collezione “evoluSHEIN by Design” veniva pubblicizzata come sostenibile pur rappresentando solo una frazione minima dell’intero catalogo, e che anche i capi di questa linea non potevano essere definiti “totalmente riciclabili”, come invece dichiarato. Il rischio per i consumatori era quello di farsi un’idea completamente fuorviante dell’impatto ambientale dei propri acquisti.
A pesare sulla valutazione dell’Antitrust è stato anche il contesto: Shein opera nel settore del “super fast fashion”, uno dei più inquinanti e opachi, e proprio per questo è chiamata a un maggiore dovere di trasparenza. Promettere una riduzione del 25% delle emissioni entro il 2030, quando i dati più recenti mostrano un aumento nel biennio 2023-2024, non è solo generico, ma potenzialmente ingannevole.
Sconti falsi e marketing aggressivo: stangata in Francia
Se in Italia la multa è stata di un milione di euro, in Francia la sanzione è di 40 milioni. La Dgccrf – Direzione generale per la concorrenza, i consumatori e la repressione delle frodi – ha inflitto a luglio a Shein una sanzione da 40 milioni di euro, dopo un’indagine durata quasi un anno.
Oltre ai green claim ingannevoli, al centro dell’inchiesta francese sono finiti i prezzi barrati e gli sconti fasulli: secondo la Dgccrf, il 57% delle offerte analizzate non rappresentava una reale riduzione di prezzo, e in alcuni casi si trattava addirittura di aumenti camuffati da promozioni. Shein, in pratica, gonfiava i prezzi di riferimento prima di applicare uno sconto, violando la normativa europea che tutela i consumatori dalle pubblicità ingannevoli.
Anche in Francia, l’azienda non è riuscita a fornire documentazione verificabile sulle affermazioni ambientali presenti sul sito, né ha dimostrato la validità delle proprie promesse sulla riduzione delle emissioni. La Dgccrf ha parlato di un “modello economico basato sulla moltiplicazione artificiale delle promozioni”, una strategia che ha lo scopo di generare urgenza e spingere all’acquisto immediato, a prescindere dalla reale utilità dei prodotti.
Il ruolo dei dark pattern: come lo shopping diventa manipolazione
Perché non è solo una questione di greenwashing. Di questa spinta all’acquisto abbiamo parlato approfonditamente grazie a una nostra indagine che ha spiegato come le piattaforme di fast fashion – Shein in testa – facciano largo uso di dark pattern, cioè strategie digitali progettate per manipolare il comportamento degli utenti e spingerli ad acquistare più del necessario.
Dallo scrolling infinito ai messaggi d’urgenza, passando per recensioni pubblicate in modo selettivo o pop-up insistenti: tutto contribuisce a creare una pressione psicologica costante, che alimenta acquisti impulsivi e compulsivi. Alcune delle tecniche più diffuse includono:
• Confirm shaming, che sfrutta il senso di colpa: “Vuoi davvero rinunciare allo sconto?”;
• Fomo (Fear of missing out), con frasi tipo “Ultimi pezzi” o “Va a ruba”, anche senza prove;
• Nagging, ovvero pop-up ripetitivi che invitano a registrarsi o concludere l’ordine;
• Scrolling infinito, che aumenta il tempo di permanenza e la probabilità di acquisto.
Nella nostra verifica sul sito italiano di Shein, abbiamo rilevato più di una di queste tecniche nel corso di una sola sessione di navigazione. Non si tratta di semplici “strategie di marketing”, ma di veri e propri strumenti di pressione psicologica, ormai al centro di indagini da parte di autorità nazionali ed europee.
Un altro modo di vestire (e comprare) è possibile
Shein è solo la punta dell’iceberg. Il problema è sistemico: promozioni continue, algoritmi calibrati sul desiderio e capi venduti a pochi euro sono gli ingredienti di un modello che consuma risorse, inquina e svaluta il lavoro.
Su impegnatiacambiare.org – la piattaforma che racconta l’impegno civico, ambientale e sociale di Altroconsumo – è dedicata una sezione a tutto questo: AltroVestire. Qui sono analizzate le storture della fast fashion e proposte alternative concrete, dalle app per uno shopping consapevole alle iniziative per premiare chi sceglie capi durevoli, etici e trasparenti.
Cambiare è possibile, ma serve consapevolezza. Serve sapere che ogni acquisto ha un impatto. E che anche online possiamo – e dobbiamo – pretendere rispetto: per l’ambiente, per i consumatori, per chi quei vestiti li produce.
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