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Attualità

Quale futuro per la lingerie? - di Sophie Morin

23 ottobre 2020

"Nell’universo della lingerie si è verificata una piccola rivoluzione. Questo mercato è cambiato molto negli ultimi anni, in modo lento ma inesorabile..."

Sotto l’influenza del movimento #MeToo, le donne si sono riappropriate del settore dell’intimo. Partendo da un prodotto pensato e immaginato soprattutto per stimolare le fantasie maschili, ha preso forma un’offerta che cerca di rispondere più ai desideri reali e alle esigenze morfologiche delle donne. Complice l’impulso dei nuovi marchi creatori, in questi anni la lingerie ha ricevuto una generosa iniezione di giovinezza, ed era ora!
 
Dagli anni ’90, il settore ha avuto occhi per una sola forma di seno: doveva essere tondo, liscio, esaltato da scollature ed effetti push-up. Questa ossessione stereotipata valeva non solo nella sfera intima, ma anche in società. Per essere socialmente riconosciute come tali, le donne avevano l’ordine implicito di sfoggiare un décolleté alto, modellato, proporzionato e arrotondato. Quando si scrivono o si leggono queste parole, viene spontaneo chiedersi se si stia parlando davvero del reggiseno oppure del suo antenato, il corsetto.
Finalmente ci si rende conto che questo oggetto del desiderio è anche uno strumento di tortura, come lo era il corsetto. Tortura morale per tutte le donne il cui seno non rientra nella norma. Tortura fisica sia per le posizioni acrobatiche che occorre assumere per infilare il prezioso pezzo di stoffa sia per i dolori legati alla sua scomodità quando viene indossato in modo non corretto, lasciando addirittura segni indelebili sulla pelle la sera. Per molto tempo si è pensato che se una donna si sentiva scomoda con il reggiseno, la colpa fosse della taglia o della forma sbagliata, oppure di una consulenza poco competente… In breve, non era il prodotto in sé ad avere un problema, ma la donna, il suo corpo, il suo seno o la sua scelta. Nell’era del perfetto 90-60-90, cioè fino a poco tempo fa, occorreva adattarsi al reggiseno a qualunque costo.

Sull’onda di movimenti come #NoBra, #FreeTheNipples o #BodyNeutrality, gli ultimi anni hanno conosciuto una ventata di novità in questo settore, un nuovo passo nel percorso di liberazione delle donne. È nata una nuova arte di vestire l’intimo, con capi che si adattano al al corpo – e non viceversa –, in cui la parola d’ordine è “il comfort prima di tutto”. È così che è nato il bodywear!

La nuova chiave: comfort e inclusività

E, con il bodywear, è apparsa una nuova generazione di reggiseni senza ferretto, detti brassière o bralette – in francese si predilige la parola triangle –, che permettono al seno (e alle donne) di respirare.  Le nuove forme del bodywear si infilano come T-shirt, sono morbide e non costringono il seno. Rispettano il corpo e, sempre più spesso, anche l’ambiente. Si adagiano sulla pelle come un guscio flessibile, sono ergonomiche grazie a doppi strati e a finiture seamless prese a prestito dallo sport.

Comfort, dunque, ma in una versione “impegnata” e “inclusiva”, che non esclude nessuna donna e nessun seno, alleggerendo il senso di colpa che molte provavano con un classico reggiseno con ferretto.

Questa nuova lingerie impone un nuovo paradigma ai marchi, che non possono più limitarsi a vendere un corpo da sogno. Devono impegnarsi, scendere in campo a favore di un femminismo positivo, soprattutto attraverso i social, elaborando contenuti autentici, che parlano alle donne senza tabù. Non si vende più solo un bel reggiseno, ma un vero universo, una parola che si libera, un proposito potente, una rivendicazione. Indossare il prodotto di un brand significa anche farsi portavoce del messaggio di quel brand.

Sulla scia delle loro antenate, le donne proclamano e rivendicano lo slogan «il mio corpo mi appartiene», il mio corpo è come è, lo vesto per me stessa, per amarlo di più e per imparare ad amare me stessa. Ora è possibile mettere in mostra corpi “normali”, le rotondità si affermano, i corpi imperfetti sono messi e portati a nudo, e la comunicazione dei marchi si arricchisce di immagini che valorizzano la sorellanza, l’inclusività e l’esibizione di carni più o meno armoniose. Più che i prodotti in sé, che hanno guadagnato in purezza e sono più basic e più minimalisti, sono i corpi medi a essere presentati, valorizzati e “venduti”, nelle nuove campagne pubblicitarie. Un notevole progresso, certo, in un ambiente dove Photoshop era la norma. Ma non abbiamo esagerato?

Ordinare alle donne di amare il loro corpo così com’è (anche se lo odiano), imporre loro una scelta di lingerie guidata dal comfort, costringerle a essere naturali indossando prodotti molto sobri e poco glamour, non è forse una nuova forma di costrizione? Un nuovo modo per togliere loro il libero arbitrio? Per obbligarle a seguire un nuovo comportamento? E per privarle di una forma di libertà? Come nel video “Be a Lady They Said”, in cui le donne sono accusate di “esagerare” o “di non fare abbastanza”. Il testo di Camille Rainville riassume perfettamente le imposizioni che vengono date alle donne, la pressione che la società esercita ogni giorno su di loro. Oggi una donna che continua a indossare un reggiseno sexy con il ferretto viene classificata nella categoria delle “sfigate” o, peggio ancora, delle sottomesse al sesso maschile. La tendenza impone un rifiuto della corsetteria classica, la seduzione è in crisi, l’ipersessualità ripudiata.
Siamo caduti nell’eccesso opposto, mentre l’inclusività vuole che si lasci la scelta alle donne, che le si renda di nuovo libere di decidere se indossare questa o quella lingerie senza essere giudicate.


Rivalorizzare la corsetteria

Occorre dunque restituire al settore la sua dose di magia, di sogno, di poesia e di raffinatezza. Bisogna trovare una nuova armonia nello stile e nella comunicazione per permettere alla corsetteria di riconquistare il rango che merita e di reinstaurare un rapporto con la femminilità e la bellezza. Sarà il connubio tra il savoir-faire – autentica eredità dell’“art de faire” del corsetier – e il recente traguardo del comfort – nuova “art de vivre” del bodywear – a dar vita a un nuovo equilibrio: un prezioso sodalizio tra il classico femminile con pizzi, sete, giochi di pieno e vuoto, effetti vedo/non vedo da un lato, e le innovazioni mutuate dallo sport con gli ultrasuoni, le finiture seamless, gli accoppiati, i materiali seconda pelle dall’altro.
La crisi sanitaria che stiamo attraversando consolida questa tendenza. L’attitudine a lasciarsi andare che alcune hanno adottato per scelta o per obbligo durante il lockdown fa supporre che queste donne abbiano voglia di indossare di nuovo della vera corsetteria. Un ritorno in auge di capi d’eccezione che saranno stati ben pensati, riprogettati e attualizzati e che includano tutte le donne, le morfologie e le taglie fino alle coppe più profonde. Un savoir-faire che è sinonimo di qualità e punta di diamante di un consumo più responsabile. Un marchio che ha una vera expertise nella corsetteria, che adotta un approccio green, che utilizza materiali di prossimità e che produce localmente piccole serie ha tutte le carte in regola per sedurre la nuova generazione di consumatrici, in cerca di un modo migliore di acquistare. Regalarsi questo reggiseno significa agire per il bene di tutti, compiere un gesto civico che è anche una coccola per se stesse.
I nuovi brand l’hanno capito: si assiste così alla nascita di una “nouvelle vague” di creatori che padroneggia l’arte della corsetteria con finiture grafiche e sportive, producendo in piccoli atelier al limite dell’artigianalità. Questi nuovi designer, più consapevoli dei loro predecessori, cavalcano anche i valori responsabili del prodotto, che ai loro occhi non coincidono più con l’urgenza green del momento. Parliamo di una sfida enorme, conoscendo i numerosi pezzi che compongono un reggiseno, ma anche di un’intera filiera che deve organizzarsi e collaborare al più presto per far nascere una nuova corsetteria verde, che abbia un impatto ecologico impercettibile o quasi. È qui che sta il nodo dell’inclusività futura: non lasciare nessuno ai margini. Lavorando per il pianeta, si lavora per ogni tipo di vita.

Verso un essenziale più versatile

Allo stesso tempo, l’esperienza dei “pro-lockdown” fa crescere in alcune donne il desiderio di spingersi più in là nel comfort. Prima del lockdown, quasi l’11%* delle donne si adeguava di tanto in tanto alla #NoBraChallenge e l’8%** non portava affatto il reggiseno in quel periodo (una donna su cinque nella fascia 18-24 anni). Motivata, da un lato, dall’assoluta libertà fisica e mentale procurata dall’abbandono di questo capo, questa scelta è corroborata da sempre più studi, secondo i quali il reggiseno con il ferretto sarebbe dannoso per il seno, se non addirittura per la salute. I marchi dovranno dunque ripensare la loro offerta per rispondere a questo desiderio, sempre più diffuso tra le più giovani, inventando prodotti più versatili.

E se alla fine la lingerie diventasse un indumento come gli altri? Perché continuare a pensarla unicamente come intimo, e non con la possibilità di usarla in altre occasioni? Perché le donne, in particolare le più giovani, dovrebbero continuare a investire in prodotti che non possono esibire quando il loro potere d’acquisto si riduce?

In Cina, inizialmente il reggiseno non esisteva e le donne si fasciavano il petto o, in tempi più recenti, indossavano una canotta. Sull’onda di questo heritage, alcuni marchi cinesi hanno continuato a creare mini collezioni innovative basate sul comfort e sulla libertà di movimento, con capi ibridi che assomigliano più a T-shirt con un sapiente restringimento delle maglie. In Occidente i giovani marchi creatori sviluppano sempre di più guardaroba ibridi e alternativi, nell’ottica di un nuovo lifestyle che mixa pezzi under e outerwear.

Così i body, i crop top e le nuove brassière con le maniche si abbinano a capi più lingerie come gli slip a vita alta, le canotte in pizzo e prodotti presi a prestito dall’homewear o dal beachwear, come i pigiami da indossare fuori casa, i longdress per il mare con lo spacco o le gonne a pareo; il tutto declinato nei colori vivaci delle linee di prêt-à-porter, per rispondere all’attuale esigenza di ottimismo. Un nuovo guardaroba che corrisponde a una domanda di capi più essenziali dai molteplici usi, da indossare in casa e fuori, e in diverse occasioni. Lo smart working rafforza questa predilezione per capi che si potrebbero definire “from bed to home, to work, to street”***. Capita spesso di incrociare per strada giovani donne che sfoggiano un reggiseno senza ferretto, anche in pizzo, sotto la giacca del tailleur, oppure un costume intero con un pantalone molto strutturato.

La nuova generazione si fa meno complessi, sovverte i codici, abbatte i muri tra intimo ed esterno. I confini tra gli universi si fanno più labili, creando un nuovo guardaroba che, letteralmente, “allarga gli orizzonti” della lingerie e dell’homewear.

Creazione e innovazione al centro della scena

Infine, come afferma Li Edelkoort: «The virus is a gift».**** Sta a noi operatori della moda trasformare i guardaroba, il modo di crearli, di produrli e di venderli. I designer svolgono un ruolo chiave nell’introduzione di un approccio nuovo, di un pensiero nuovo. I marchi devono essere più che mai agili e audaci nel lancio di prodotti innovativi, creativi e rivoluzionari. Il marketing che esisteva fino a una decina d’anni fa non trova più riscontro tra le consumatrici. Occorre inventare veri prodotti che facciano progredire il mondo, rispondendo a nuovi comportamenti. La creazione deve essere al centro dell’attenzione. Il periodo che stiamo vivendo è un’occasione unica per ripensare l’offerta prendendo in considerazione gli aspetti green e per esplorare nuovi territori innovativi e sostenibili, come i tessuti al servizio del benessere, della protezione senza costrizioni. Acquistano finalmente senso i nuovi materiali che esplorano risorse bio come le sete di ragno o i tessuti antimicrobici che proteggono la pelle, le culotte mestruali che rassicurano le donne e si prendono cura della loro salute e dell’ambiente. Una nuova era sta per iniziare, a condizione che ci impegniamo per darle un senso e farla sbocciare.

Sophie Morin per Intima Media Group


Concept & Fashion Designer/Trend Forecaster e direttrice artistica freelance per grandi società francesi, europee e internazionali, Sophie Morin ha fondato la sua società di consulenza – Le Studio du Dessous – più di 10 anni fa, dopo aver lavorato per Dim a capo del gruppo Concept Design. Tra i suoi clienti figurano grandi gruppi come Triumph (Sloggi), retailer come Les Galeries Lafayette e Alibaba (Tmall) in Cina, agenzie di tendenza/stile come Promostyl Paris e anche giovani marchi creatori. Consapevole della posta in gioco e delle enormi sfide che gli operatori del settore lingerie dovranno affrontare negli anni a venire, li accompagna e consiglia dalla riflessione strategica al posizionamento di stile, dalla ricerca di un DNA forte alla stesura di uno "storytelling" ispiratore, al brand-book o style-guide per inquadrare la creazione, passando per il concept prodotto fino all’ideazione e allo sviluppo delle collezioni.


* Fonte: Institut Français de la Mode** Fonte: IFOP periodo 3-4 aprile 2020, sondaggio condotto tra 1016 donne
*** “Dal letto a casa, al lavoro, alla strada”
**** “Il virus è un regalo”

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